L’utilità della bellezza non è evidente, che sia necessaria alla civiltà non risulta a prima vista, eppure la civiltà non potrebbe farne a meno.
(Siegmund Freud, Il disagio della civiltà, 1930)
*In foto: L’affresco che raffigura il santo titolare della chiesa di Sant’Angelo (San Michele Arcangelo) a Vitavello di Mozzano
Un patrimonio da scoprire, tutelare, conservare e valorizzare
La meraviglia è nostra compagna discreta mentre percorriamo i magici sentieri che custodiscono, come in uno scrigno prezioso, le memorie di comunità che nel corso di secoli hanno curato con passione e amore le dolci colline, gli impervi pendii, i fossi mi-steriosi, le soffici verdi distese di prati, conservandone l’integrità e ricavandone il necessario per la propria sopravvivenza.
Questi angoli pregevoli spesso appaiono in condizione di abbandono. I piccoli borghi, una volta ricchi di attività e di presenze umane, mostrano il triste segno dello spopolamento. Così, vuote sono le antiche abitazioni, spente le luci degli spacci, ormai fra-dicie di antica pioggia le semplici panche di legno su cui, al ter-mine di una lunga giornata di lavoro, la stanchezza degli abitan-ti trovava ristoro. Deserte sono le piazze, senza vita gli slarghi e le strade.
Pure, rimangono ancora alcuni segni preziosi dell’antico splendore, della cultura e della pietà popolare di comunità un tempo vitali. Sopravvivono ancora, ricordo di questa antica presenza, piccole pievi o preziose chiese: in angoli nascosti o in luoghi inimmaginabili, al centro dell’abitato o isolate ai margini del bo-sco, in cima a solitari rilievi o circondate da un soffice, riposan-te verde prato.
Fortunatamente, per alcune di queste testimonianze di civiltà ed arte, si è evitato che il trascorrere del tempo, l’inclemenza degli elementi atmosferici o la lunga incuria determinassero la definitiva loro scomparsa. Si è provveduto a interrompere l’azione nefasta del degrado. Si è intervenuto per ristrutturare e mettere in sicurezza le mura e il tetto degli edifici, restaurando i commoventi e preziosi affreschi presenti sulle pareti interne.
Talvolta è mancato questo accorto vigile impegno. Così le preziose testimonianze di un glorioso passato, sono state abbandonate al degrado progressivo e all’incuria vergognosa.
È proprio il caso della chiesa di Vitavello, dedicata a San Michele Arcangelo, Principe delle Milizie Celesti. Così i preziosi affreschi che nobilitano l’edificio, compresa l’immagine gentile ed elegante del bel San Michele, corrono il rischio delle completa scomparsa, soggetti come sono all’aggressione degli eventi atmosferici che le fessure aperte sulla volta rendono sempre più pericolosi e prepotenti.
Luisa Danieli, nell’effettuare un’escursione sul territorio, ha sco-perto l’esistenza di questo tesoro abbandonato e le condizioni di degrado in cui versava, segnalando immediatamente alla Sezione di Italia Nostra la gravità dello stato di manutenzione del bene e l’urgenza del recupero.
Il Presidente Nazionale dell’Associazione, Avv. Marco Parini, informato della vicenda, ha compreso l’urgenza di un intervento riparatore di tanta incuria pregressa, impegnandosi a dare avvio all’avventura di una raccolta fondi a livello nazionale per il recupero e la messa in sicurezza di tanta bellezza.
Ma questa iniziativa non è fine a se stessa. Sarebbe sterile, infatti, recuperare un bene per lasciarlo, poi, nell’abbandono di un luogo fuori dal tempo, per aprirlo magari una sola volta all’anno. Il recupero e il restauro rientrano, invece, in un progetto più vasto e articolato che sta proponendo la Sezione di Ascoli che prevede la valorizzazione complessiva di tutte le risorse culturali del territorio piceno, indicato con il termine evocativo delle Terre della Primavera Sacra, per dare avvio a un processo che esalti, proprio per le modalità sistemiche di valorizzazione, l’immagine del territorio con tutte le sue risorse, favorendone una fruizione responsabile da parte di un numero sempre più rilevante dei tanti che in Italia e all’estero desiderano entrare in contatto con le forme più autentiche e coinvolgenti della cultura dei luoghi.
Nell’ambito di questo progetto più ambizioso, la fruizione della chiesa di Vitavello, appena ne sarà completato il recupero, rientrerà nell’immaginifico percorso del Parco Culturale e Ambientale delle Terre del Tartufo, uno degli otto Parchi la cui realizzazione la Sezione sta proponendo, quali moduli individuati nell’ambito del più impegnativo progetto del Distretto delle Risorse Culturali delle Terre della Primavera Sacra.
La pubblicazione dell’opuscolo, curato con la consueta passione e competenza da Gabriele Vecchioni e Narciso Galiè, dedicato agli Affreschi delle chiese rurali del nostro territorio, con estensione a quello contiguo e simile della zona di Amatrice e, in par-ticolare, alla chiesa di Vitavello, rientra sicuramente in questo disegno di scoperta e valorizzazione e si rivelerà sicuramente come un fondamentale punto di partenza per l’inizio di un’avventura esaltante e commovente.
Gaetano Rinaldi
Presidente della Sezione ascolana di Italia Nostra
Gli Autori
davanti
alla chiesa
di Vitavello
Uno degli aspetti meno conosciuti del patrimonio artistico di Ascoli Piceno e del suo territorio è costituito dalle tante chiese rurali che punteggiano l’hinterland; piuttosto semplici esternamente, questi edifici sono spesso affrescati in modo mirabile e meritano una visita non frettolosa. Spesso, sono inseriti in uno splendido contesto appenninico, circondati da fitti boschi o isolati su poggi che dominano le case, le geometrie dei campi coltivati e il paesaggio collinare, e appaiono al visitatore all’improvviso, come epifanie.
I fabbricati sono costituiti per lo più da un’aula rettangolare con copertura a capanna e trava-tura di legno a vista, edificati con materiali semplici e una architettura essenziale che mira a favorire la funzionalità.
Gli interni conservano forme, materiali e decorazioni degli antichi luoghi di culto, pur evidenziando la necessità di interventi di sistemazione. Sarebbe opportuno, infatti, per ragioni di memoria storica e per il valore artistico degli ornamenti e degli affreschi presenti, sviluppare progetti operativi di recupero e restauro, per arricchire il patrimonio storico-artistico e restituire le opere all’ammirazione degli amanti dell’arte, prima che tali testimonianze della ricchezza materiale e religiosa locale vadano perdute.
La chiesa di San Michele Arcangelo di Vitavello, appartenente alla parrocchia dei SS. Cosma e Damiano di Mozzano, è uno dei gioielli “nascosti” del territorio ascolano. Modesta all’esterno, sorprende il visitatore all’interno, con il luminoso affresco del santo titolare, con l’elegante figura dell’Arcangelo che si staglia sulla campitura di colore scuro, una Crocifissione dal classico impianto rinascimentale, una Maternità Sacra di gusto popolare, semplice ma vitale, un Sant’Antonio Abate e, forse, altri tesori celati dalle scialbature. Sono affreschi del XVI e XVII sec., anche se le figura-zioni lasciano pensare a un riutilizzo di modelli più antichi.
Non era nostra intenzione realizzare un lavoro approfon-dito sulle chiese rurali dell’Ascolano, dato il ridotto tempo a disposizione per la realizzazione dell’opuscolo. Abbiamo voluto “accendere i riflettori” su un aspetto interessante del nostro territorio e, in particolare, su un’emergenza meritevole di attenzione, prima che l’incuria e l’ignoranza la cancellino dalle nostre contrade.
Quello di Vitavello è un capitale da recuperare, tutelare e valorizzare, per noi e per i posteri, come testimonianza di una “nuova” consapevolezza del valore che rappresentano i beni culturali (siano essi storici, artistici o paesaggistici) per il territorio piceno. È questa un’autentica ricchezza della nostra zona che, ancora una volta, si svela come ter-ra di tesori.
Gli AA.
PREMESSA
Il comprensorio dell’entroterra ascolano mostra una orografia tormentata, con i rilievi separati da incisioni a volte profonde che hanno favorito la costituzione di centri abitati sui poggi. Anche l’area montana presenta borghi e nuclei disseminati sul territorio, forse derivati dalla domi-nazione longobarda che, in realtà, ha lasciato poche tracce e spesso è ricordata solo dalla tenace persistenza dei toponimi.
L’esistenza di una densa rete di pievi, chiese, oratori e di conventi sparsi fa pensare a un popolamento stabile e a una frequentazione che andrebbero studiati con una incisività maggiore di quella usata fino a oggi.
L’emergenza di Vitavello (che sarà analizzata nei capitoli successivi) e quella di altre realtà consimili, classificate come “minori”, non è forse architettonicamente rilevante ma è testimonianza significativa della devozione popolare e di come essa facesse parte del quotidiano della gente che vi-veva sul territorio.
Qualche anno fa, Emma Simi Varanelli, nella Prefazione a un saggio di Annalisa Paoloni, relativo all’architettura reli-giosa medievale dell’Alto Maceratese (un’area che, per taluni versi, presenta aspetti simili a quella picena) scrisse una riflessione che fornisce un’analisi della situazione applicabile in senso generale.
«La fitta maglia dei castelli e luoghi di culto e di preghiera le cui tracce ancor oggi possiamo osservare un po’ ovunque, sono lì di fatti per testimoniare che la vita è risorta assai pri-ma dell’anno Mille e di conseguenza che anche l’arte ha avu-to una fioritura più precoce e in termini più vari e qualitati-vamente validi di quanto si sia soliti immaginare.
Inducono a pensare, inoltre, che la civiltà medievale in toto possedeva qualche verità che ci sfugge e che solo il fascino delle consunte pietre e la sapienza delle antiche scritture possono ancora trasmetterci. Convincono cioè che – come credevano i romantici – nel Medioevo il sacro si è mescolato quotidianamente, intimamente al profano, le memorie dell’an-tico sono state generalmente conservate con ogni cura e ve-nerazione, re e signori si sono inchinati davanti alla voce del sacro che si credeva albergasse anche nei santuari più mode-sti, il più spesso, con la medesima attitudine semplice e devota consona agli spiriti umili. Tali constatazioni dovrebbero agire su di noi quale formidabile stimolo alla conoscenza di queste nostre così diverse e sapide radici».
È con questo spirito che ci si deve avvicinare alla chiesa di San Michele Arcangelo di Vitavello, considerandola l’e-sempio (uno dei tanti, in verità) dell’Italia “minore” con opere d’arte che minori non sono, come ha giustamente ricordato, in un recente articolo, il prof. Gaetano Rinaldi, Presidente della se-zione ascolana di Italia Nostra. Un’Italia da riscoprire e valorizzare.
Nella vicina Umbria, molte chiese rurali erano affrescate anche sulle pareti esterne.
A lato, la chiesa di Sant’Antonio
a Piedicolle di Norcia
LE CHIESE RURALI
L’ esistenza di una fitta rete di chiese rurali sul territorio ebbe un ruolo fondamentale nel paesaggio agreste tardoantico e medievale, a testimonianza della profonda religiosità e la devozione popolare nel corso dei secoli.
Fra la seconda metà dell’VIII e la fine dell’XI secolo, elementi dell’aristocrazia longobarda, proprietari fondiari, religiosi, detentori del potere politico e militare diedero un forte impulso alla fondazione di chiese, cappelle e monasteri nelle campagne e nelle città. Anche l’istituzione statuale (sia bizantina sia longobarda) contribuì con una propria rete di chiese patrimoniali, in una complessa trama di relazioni e competenze.
Non è facile, però, rintracciare i rapporto tra le chiese, gli oratori, le cappelle e i nuclei di popolamento, per la scarsità di fonti scritte. Per esempio, l’edificio sacro di Vitavello nasce in una posizione isolata dal centro dèmico e non ci sono, al momento, indicatori quali ritrovamenti archeologici o la presenza di aree cimiteriali che possano chiarire le ragioni della sua ubicazione.
La presenza di chiese e oratori in luoghi anche isolati risale all’Alto Medioevo, periodo nel quale l’economia era di tipo curtense, povera e legata al territorio, e testimonia come la cir-colazione delle idee e della manodo-pera “artistica” sia stata rapida e ca-pillare. Le chiese rurali, grazie alla sistematica diffusione nelle campa-gne, garantirono la cura animarum (a volte, con funzioni battesimali) e assicurarono l’inquadramento pastorale della popolazione.
Le chiese rurali non sono, in genere, opere d’arte nel sen-so pieno del termine ma memoria della semplice architettura popolare e un importante punto di riferimento territoriale e sociale. Esse erano costruite quasi sempre ad aula singola, con il tetto a doppio spiovente e la copertura realizzata con coppi tradizionali; gli interni erano spesso decorati con affreschi, di epoca e mano diverse, le spese dei quali erano sostenute da fedeli abbienti. Le pitture murali erano dedicate a temi e a santi vicini alla religiosità popolare.
La fondazione di una nuova chiesa costituiva un’opportunità di promozione sociale per i nuovi benefattori, mentre quelli affermati potevano consolidare il proprio prestigio. Questo impegno era considerato uno strumento opportuno per la promozione economica del territorio nel quale la chiesa veniva fondata. I luoghi di culto costituivano, infatti, un potente polo di attrazione per la popolazione dispersa: la loro ubicazione permetteva ai lavoratori agricoli di partecipare al rito religioso senza allontanarsi troppo dal luogo di lavoro.
L’oratorio
di Santa Maria
del Verdiente
a Capradosso
di Rotella, inserito
in uno splendido
contesto collinare
Ascoli Piceno e le zone limitrofe hanno visto una ricca fioritura di chiese rurali, splendidamente decorate da artisti spesso sconosciuti ma autori di autentiche opere d’arte.
Un patrimonio da tutelare
Le chiese rurali e i loro affreschi sono, a volte, vere e proprie apparizioni che accolgono il visitatore con i loro tesori d’arte. Il nostro territorio evidenzia una capillare diffusione di chiese, pievi e oratori affrescati, una stratificazione di storia e di memoria, un vero scrigno di bellezza. Purtroppo, l’incuria e il vandalismo stanno cancellando queste preziose testimonianze, un autentico patrimonio che va salvaguardato e tutelato.
Qualche anno fa (2008), Vittorio Sgarbi scrisse che «è arrivato il momento di acquistare compiuta coscienza dell’importanza di ogni reliquia, alla quale provvedere per la sua conservazione», pena la perdita «del sapore dei luoghi, la loro verginità, la loro individualità».
«Occorre acquisire coscienza politica», concludeva il critico, «della straordinaria identità culturale dell’Italia la cui vocazione alla bellezza è un bene primario che non si può consentire di disperdere».
La chiesa
di San Benedetto, nell’omonima contrada
di Folignano
Una delle più interessanti chiese affrescate è situata nell’area dei Monti Sibillini. Lungo il cosiddetto “sentiero dei mietitori”, si incontra la chiesa di Santa Maria in Pantano (conosciuta, anticamente, con il nome di Santa Maria delle Sibille). È la più antica chiesa rurale dell’area picena (VIII secolo), poi cenobio camaldolese, e presenta, al suo interno, diversi affreschi che raffigurano le Sibille, antiche profetesse, a testimonianza del sincretismo tra riti cristiani e pagani.
In foto: l’eremo rupestre
di Colle San Marco
«… certe chiesette semiabbandonate circonfuse da un fascino che risale all’anno Mille; … i piccoli cimiteri, ere-di di una storia e di una suggestione ancora direttamente collegata alla na-tura circostante.
Gli antichi non avevano la nostra idea del paesaggio. Ma, attenti agli spiriti connaturati alle piante, alle rocce, allo scorrere dell’acqua e al volo degli uccelli, individuavano in certi luoghi – che oggi definiamo panoramici – una sintesi, una concentrazione di forze. Lì erano sorti templi, altari, aree sacre, poi riciclati dalle chiese e dai cimiteri cristiani».
(Luca Villoresi, La Repubblica, 2002)
Le parole del noto giornalista si adattano perfettamente a numerose emergenze dell’Ascolano (e delle aree limitrofe) che fanno realmente pensare a una scelta dell’ubicazione dettata da una completa “immersione” nella natura circostante, senza modificare i caratteri del paesaggio, dove il costruito si fonde alla perfezione con il naturale.
A sinistra, la chiesa
di Sant’Emidio
a Tronzano
di Mozzano
La Madonna della Neve a Faete di Arquata del Tronto.
ALLA RICERCA DELLA BELLEZZA PERDUTA
Santuario di Santa Maria dell’Ascensione, in località Filetta di Amatrice (RI)
Gli affreschi del catino absidale (1480 ) sono opera di Pier Paolo da Fermo:
Nell’affresco (del 1509) di Dionisio Cappelli è sintetizzato il racconto evangelico della Crocifissione. Nell’affollata scena sono riconoscibili, oltre ai santi “tradizionali”, Longino che trafigge il costato di Cristo, l’angelo che raccoglie il sangue versato, la scena della spartizione delle vesti e altri episodi legati al drammatico evento.
Santuario di Santa Maria delle Grazie o dell’Icona Passatora (XV sec.), a Ferrazza di Amatrice (RI).
L’edificio sacro sorse nel 1480 e incorporò un’edicola (nella foto, in basso a sinistra) denominata Madonna di Canalicchio e ritenuta miracolosa, che diede il nome alla struttura. I territori di Amatrice e di Accumoli hanno fatto parte della diocesi di Ascoli Piceno fino al 1965. In alto, la complessa Crocifissione.
Nell’affresco (del 1509) di Dionisio Cappelli è sintetizzato il racconto evangelico della Crocifissione. Nell’affollata scena sono riconoscibili, oltre ai santi “tradizionali”, Longino che trafigge il costato di Cristo, l’angelo che raccoglie il sangue versato, la scena della spartizione delle vesti e altri episodi legati al drammatico evento.
L’interno affrescato dell’Oratorio di Santa Maria del Verdiente a Capradosso di Rotella. La costruzione, di origine farfense, risale all’XI-XIII sec. e nacque per permettere ai lavoratori agricoli impegnati nelle vicinanze di raccogliersi in preghiera. Il nome sembra derivare dal latino ad burdientes (acque intorbidate), riferito al vicino torrente Torbidello.
Nell’immagine, l’altare e l’area absidale, decorata con una Annunciazione e il tema ripetuto della Madonna con il Bambino. Alle pareti, affreschi devozionali del XV sec., legati a un voto pubblico della Comunità di Capradosso in occasione di una pestilenza. L’ignoto autore degli affreschi del Verdiente, nello stile di transi-zione tra il gotico e il rinascimentale, sembra essere di scuola toscana.
L’AFFRESCO, TECNICA E ARTE
L’ affresco è una tecnica pittorica molto antica, in uso già nel V sec. a. C (esistono però esempi di affreschi risalenti all’età minoica, XVI sec. a. C.). Viene eseguito stendendo colori naturali (ossidi minerali e pigmenti terrosi), diluiti in acqua, sull’intonaco ancora fresco di una parete: il colore ne è chimicamente incorporato per carbonatazio-ne e acquista una particolare brillantezza e resistenza all’acqua e al tempo.
Dal XIV secolo, la pratica dell’affresco si diffuse grandemente in area europea, grazie al miglioramento delle tecniche e all’abilità degli autori. In Italia, il periodo di maggiore espansione è quello rinascimentale.
Grandi maestri del passato hanno realizzato opere con tale tecnica, ottenendo risultati straordinari: basti pensare alla patavina Cappella degli Scrovegni di Giotto o al Giudizio Universale della Cappella Sistina, in Vaticano, opera immortale di Michelangelo.
Gli affreschi venivano realizzati rapidamente: sopra la malta umida si appoggiava il cartone con il contorno del disegno già crivellato per far penetrare dai fori il nerofumo e lasciare, così, la traccia della figura sull’intonaco. Poi si realizzava la sinopia (abbozzo preparatorio dell’affresco eseguito utilizzando una speciale terra rossa) o si dava direttamente il colore. L’affresco era (ed è) una tecnica pittorica che non permetteva pentimenti “artistici”; eventuali ritocchi andavano fatti a tempera.
Con l’avvento, la diffusione e il consolidamento della religione cristiana, l’affresco venne sempre più usato dagli artisti nella decorazione degli edifici sacri.
Gli affreschi e i bassorilievi costituivano, in epoca medievale, la cosiddetta Bibbia dei poveri, stante la percentuale altissima di illetterati, incapaci di leggere il Libro. Le opere venivano realizzate con una forte connotazione simbolica, in maniera da essere compresi con immediatezza da tutti.
A tale proposito, è significativa la frase che Papa Gregorio I, nel VI sec., inserì nell’epistola a Sereno, vescovo di Marsiglia noto per le sue posizioni iconoclaste. Il pontefice scrisse, infatti, che «la pittura s’impiega nelle chiese perché anche gli analfabeti possano leggere sulle pareti ciò che non possono leggere sui libri»; Gregorio ribadì il concetto in una seconda lettera («la pittura insegna agli illet-terati ciò che la Scrittura insegna ai letterati»).
Le figure affrescate
Gli affreschi presenti nelle chiese e negli oratori dell’Ascolano sono tutti a soggetto religioso, come era lecito aspet-tarsi, data la loro funzione devozionale. Il soggetto più raffigurato è la Madonna, spesso con il Bambino o affiancata da altri personaggi, come i santi Rocco e Sebastiano, invocati, nel Medioevo, a protezione dalle epidemie di peste. Abituale l’immagine della Madonna della Misericordia (o del Soccorso) che avvolge con il suo manto aperto la mas-sa dei fedeli che implorano la sua benedizione.
Coro di angeli
e angeli musicanti
nella chiesa
della Filetta
Non mancano raffigurazioni del Cristo portacroce, della Crocifissione e della Deposizione. Interessante la Crocifissione di Vitavello, una composizione dal classico impianto rinascimentale con il Cristo in croce, ai piedi della quale piangono tre personaggi, tutti con la tipica aureola che li identifica come santi (dal latino sancti, cioè “sanciti”, riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa cattolica).
Cristo portacroce
nella chiesa dell’Icona
Passatora
(XIV sec.),
a Ferrazza
di Amatrice
Altri soggetti sono papi e santi; di questi ultimi sono raffi-gurati quelli con il maggiore seguito popolare: oltre ai due già nominati, si trovano le figure di Sant’Antonio Abate, figura molto amata nelle aree rurali, Sant’Agata e Santa Lucia. Singolare la raffigurazione di Sant’Amico, patrono dei boscaioli (rappresentato con una scure del tipo cosiddetto marchigiano) e precursore di San Francesco nell’impresa di ammansire un lupo.
Infine, gli angeli: in coro, in volo per glorificare la Madon-na, in ginocchio nelle scene dell’Annunciazione.
Particolare rilievo assume la figura di San Michele Arcangelo, titolare di diversi edifici sacri (nella diocesi di Ascoli Piceno, sono ben dieci le chiese a lui dedicate).
aniera simmetrica, due San Sebastiano pressoché identici.
Nelle chiese rurali, di frequente,
era rappresentata la Sacra
Maternità,
che, più di altre figurazioni,
toccava
i sentimenti
dei fedeli
Nella chiesa di San Michele Arcangelo, a Vitavello di Mozzano, uno degli affreschi raffigura la Madonna col Bambino in grembo, in un momento “familiare”.
L’immagine, molto espressiva, è vitale e movimentata, una lettura popolare della realtà.
Sulla cornice inferiore una scritta in lettere capitali permette di conoscere la datazione dell’opera e il nome del committente: QUESTA FIGURA A. F. F. CONTE D BERARDINO 1559.
La chiesa di San Michele Arcangelo
La chiesa di San Michele Arcangelo a Vitavello si trova nel comune di Ascoli Piceno ed è una delle diciotto chiese che insistono nel territorio della parrocchia dei S.S. Cosma e Damiano di Mozzano, frazione della città picena.
L’edificio sacro appare all’escursionista all’improvviso, ap-pena usciti da un bosco rado di querce, alto su un poggio che domina una larga porzione del territorio circostante.
La storia
Molto probabilmente, la chiesa ha origini altomedievali, quando, come ricorda Settia (1982), «la popolazione non urbana dell’Italia longobarda era distribuita per lo più in case massariciae erette sui fondi», in presenza cioè di un insediamento di carattere sparso.
Dopo la cristianizzazione e il conseguente mutamento devozionale (e patrimoniale) degli invasori longobardi, furono costruiti edifici ecclesiastici situati in luoghi isolati, vicino ad aree coltivate e case sparse. Nel nostro caso, la chiesa sarebbe stata eretta a servizio dell’abitato di Acquaviva, nato a seguito della dispersione da parte dei Franchi della popolazione barbarica dell’Europa settentrionale.
Nelle visite pastorali del vescovo Camaiani (1567-71) la chiesa di Vitavello viene, infatti, denominata Sant’Angelo di Acquaviva.
«Sopra l’attuale Cavaceppo, nei pressi di Vitavello, sorse Ac-quaviva, un centro rurale ben protetto dall’ubicazione naturale. Nel XIV secolo il suo territorio comprendeva le contra-de di Pantorano e Val Tintore, indice di una fiorente attività artigianale.
[…] Il progredire degli incrementi demografici delle varie contrade ridusse comunque la territorialità storica di Acqua-viva; fenomeno che sortì la redazione del Catasto di Pantorano e un’identità ben distinta dalla podesteria di Mozzano».
(G. Scarpellini, Pagliare del Tronto. St. d’Ascoli, 2013)
Lo stesso autore ci informa che Acquaviva e Pantorano «nella cartografia e nella topo-nomastica, non esistono più» ma i due centri erano ancora pre-senti, nel XVII sec., nella Topografia del Stato d’Ascoli della Marca con suoi confini di Odoardo Odoardi de’ Catilini (1680).
Sin dal 1337, gli Statuti della città di Ascoli favorirono, con sgravi fiscali, l’immigrazione nella valle del Tronto: buona parte degli abitanti del borgo di Pantorano si “trasferì” nella località attuale di Pagliare di Spinetoli.
In un’altra visita pastorale (quella del vescovo Aragona, nel 1580) viene descritto un fonte battesimale, quindi la chiesa, a questo punto denominata San Michele Arcangelo, aveva ancora funzioni di pievanìa. Questa condizione la poneva come centro della vita ecclesiale del territorio che, però, decadde nel tempo, tanto che il vescovo Marana, nel 1729, ci informa che era ormai annessa a quella di Santa Maria Lauretana di Pedana.
Nella chiesa si tiene una funzione religiosa il giorno 8 maggio, nella ricorrenza dedicata a San Michele. Un altro giorno riservato alla celebrazione del santo, oltre a quello citato, è il 29 settembre, data tradizionalmente consacrata agli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele.
I caratteri architettonici
La chiesa fa parte degli edifici sacri “minori” sia per le dimensioni limitate sia per il ridotto interesse storico-artistico, legato anche alla localizzazione scomoda, fuori dell’abitato, già isolato, del piccolo nucleo di case di Vitavello.
La costruzione ha forme semplici ma dignitose, realizzato con sobrietà sia nei materiali sia nell’architettura: una scelta che ha privilegiato l’essenzialità e la funzionalità. La struttura, peraltro parzialmente compromessa da interventi moderni, è semplice, legata a schemi di architettura popolare, senza elementi decorativi, e manifesta caratteri di un romanico tardo.
L’interno mantiene forme, materiali e decorazioni del-l’antico luogo di culto, pur evidenziando la necessità di interventi di restauro.
I materiali
L’edificio è costruito in pietra arenaria di probabile provenienza locale. Attualmente, il paramento esterno della costruzione è formato da conci di travertino rinforzati da gettate di cemento armato. Altri interventi sono stati eseguiti con mattoni di fattura moderna.
Da un’idea di Luisa Danieli
Testi di Narciso Galiè e Gabriele Vecchioni
Didascalie di Marzia Vecchioni
Foto di Gianfranco Alessandrini, Nazzareno Cesari, Giuliano Cipollini, Claudia de Miguel, Umberto De Pasqualis, Carlo Perugini, Claudio Ricci e Gabriele Vecchioni. Le immagini relative all’Oratorio del Ver-diente sono tratte dal sito “Terre del Piceno”.Si ringraziano l’Associazione Italia Nostra, la Curia vescovile di Ascoli Piceno, l’Amministrazione comunale di Amatrice, il parroco Don Andrea Tanchi, gli architetti Sara Campanelli e Giacomo Manni e l’ingegner Massimo Tonelli che hanno predisposto il progetto di restauro, il signor Rino Angelini che curerà il restauro pittorico e l’amico Claudio Ricci per la collaborazione prestata.
© Copyright degli Autori